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La convergenza verso la TV nella digital transformation

Giuseppe Ursino

Giuseppe Ursino

Un tempo si diceva televisore e finiva lì. Si sapeva bene cosa faceva e a cosa serviva. Oggi no, televisore vuol dire tante altre cose, perché sullo schermo si vede molto altro: le foto di famiglia, le pagine di un giornale, i siti internet preferiti, le trasmissioni del satellite, i videogiochi, il digitale terrestre e i film on demand, la posta elettronica e i social network, la radio e la musica. Tutto è cambiato da quando anche la televisione è entrata nell’era digitale, da quando i chip hanno preso il posto del tubo catodico. Da quando siamo entrati nella digital transformation, del vecchio televisore è rimasto poco o nulla. Sono cresciute le dimensioni degli schermi e si sono ridotte all’infinitesimo quelle delle altre parti, fino a trasformare le TV in cornici. Il televisore ha inglobato tutto, lentamente, costantemente, ribadendo il proprio ruolo centrale. Due schermi, quelli del computer e dello smartphone, hanno provato a fare il gioco contrario: prendere il contenuto della TV e portarlo dentro le loro trame e qualche successo lo hanno ottenuto, ma chi produce computer e smartphone non si aspettava che la vecchia televisione fosse in grado di reagire, potesse improvvisamente rimescolare le carte di un gioco che sembrava già deciso. La parola magica nella digital transformation è “convergenza”. Tutto “converge” verso il televisore. Fino a qualche anno fa, quando il mondo era analogico, i vari media non potevano essere mescolati, ognuno aveva la sua tecnologia e non c’era verso di mettere insieme, ad esempio, le pagine di un giornale e le onde della radio. Oggi non è più così, perché tutto si è trasformato in bit e un bit di radio è uguale al bit di un giornale. Il che significa che i programmi televisivi e radiofonici, i giornali, i film, i giochi, possono passare tutti attraverso un unico terminale e finire in un unico schermo, quello della TV.

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