La Democrazia Cristiana è stata la forza politica dominante dal '44 fino a tangentopoli all’inizio degli anni ’90

Giuseppe Ursino

Giuseppe Ursino

Le fortune della DC iniziarono nel lontano 1944 quando essa fu indicata come la forza politica cui andava la fiducia degli USA. Nel 1947 De Gasperi con chiarezza dichiarò l’accettazione da parte del suo partito del sistema capitalistico ed il rifiuto di un’economia pianificata. In quegli anni, ed esattamente nel ’49, il Sant’Uffizio decretò la scomunica anticomunista, atto che influenzò pesantemente il voto dei cattolici. Già nel 1950 la Democrazia Cristiana era un partito di governo che aveva gli obiettivi strategici di uno Stato di capitalismo maturo. Non tanto, quindi, gli interessi immediati dell’intera classe dominante, la sua è stata una politica che in taluni settori colpì gli interessi più chiusi e conservatori che si rivelavano in contrasto con le esigenze di un più ampio sviluppo capitalistico. Fu il caso della riforma agraria e del conseguente urto che ne derivò con il blocco rurale meridionale. Sin dal 1954 con la segreteria Fanfani la compenetrazione fra partito democristiano ed apparati della Stato si estese enormemente. La DC cominciò a collocare in modo sistematico i suoi uomini nelle direzioni delle banche, degli enti pubblici, delle aziende in cui lo Stato era azionista e si impadronì così di posizioni di potere importantissime, attraverso le quali poté incidere sulla vita economica e controllare la pubblica opinione. Nel 1962 esplose la controffensiva dorotea i cui esponenti furono caratterizzati da una concezione della politica come mediazione, cioè come continua ricerca di equilibri fra i diversi interessi in gioco, al fine di conservare e rafforzare il sistema di potere democristiano. I dorotei, allarmati per le reazioni negative che la nazionalizzazione dell’industria elettrica e la legge sulla scuola media obbligatoria avevano suscitato in certi settori dell’opinione pubblica conservatrice, scaricarono Fanfani. Così dal 1964 al 1975, nel cosiddetto decennio doroteo, tutti gli incarichi di derivazione amministrativa o politica furono lottizzati e crebbe la borghesia di Stato. Mentre l’esponente di partito sceglieva in base alle esigenze della propria corrente l’uomo da designare alla direzione dell’ente pubblico o dell’azienda a partecipazione statale, il cooptato a sua volta, forte del potere economico conquistato, condizionava il suo protettore politico. Durissimo fu l’attacco che nel 1968 Moro condusse contro il modo in cui il gruppo doroteo dirigeva il partito allontanandolo dalle correnti vive della società. Nel 1975 già si manifestava ampiamente la profonda crisi democristiana conseguente a tre principali fattori: 1)  i cattolici, dopo il Concilio Vaticano II, non votavano più per la DC in modo così massiccio come negli anni ’50 ed ancora per larga parte degli anni ’60; 2) la crisi finanziaria ridusse la possibilità di accrescere ancora l’assistenzialismo su cui si erano fondate le fortune della DC come partito di governo; 3) si fecero sentire i contraccolpi della crisi che aveva investito gli Stati Uniti d’America (affare Watergate, declino del dollaro e guerra del Vietnam). Così alla segreteria del partito andò Zaccagnini, uomo della sinistra, sincero antifascista ed esponente politico non coinvolto negli scandali degli anni ’70, l’uomo adatto a presentare un’immagine rinnovata della DC. Dopo il suo quinquennio dal 1975 al 1980, nel 1982 con De Mita la sinistra ritornò alla segreteria che portò avanti con veemenza un ricambio della classe dirigente. L’azione di De Mita però ebbe magri risultati, il partito si incartò su sé stesso e fu spazzato via da tangentopoli all’inizio degli anni ’90.

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